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Reportage scritto e pubblicato per la Rivista Missioni Consolata // Torino – Novembre 2021

Viaggio nelle periferie di una città che fatica a rinascere dopo le violenze dei Khmer rossi e l’occupazione vietnamita. Periferie dove degrado e abbandono sembrano i padroni, ma dove il sorriso dei bambini è canto di speranza.
Profondamente segnata dalla guerra, dal genocidio perpetrato dai Khmer rossi e dalla successiva invasione dell’esercito vietnamita ritiratosi solo nel 1989, la Cambogia si sta lentamente ricostruendo e da alcuni anni sta attraversando una fase di crescita economica. Tuttavia, con i suoi quasi 17 milioni di abitanti, rimane uno dei paesi più poveri del Sud Est asiatico e del mondo. Secondo la Banca Mondiale, nel 2019 il reddito nazionale lordo (Rnl) pro capite in Cambogia era di circa 1.643 dollari, 20 volte inferiore a quello medio italiano.

In questo contesto di estrema povertà, è difficile per molti cambogiani vivere in condizioni dignitose e nella sola Phnom Penh si contano circa 500 comunità urbane (baraccopoli) sotto la soglia di povertà. Queste rappresentano circa il 25% della popolazione della capitale.

Tipicamente le comunità urbane povere devono affrontare molte sfide, tra cui le scarse condizioni igienico-sanitarie e gli alti tassi di dissenteria e malnutrizione. La mancanza di servizi igienici, di un adeguato drenaggio delle acque piovane, di un sistema fognario e di quello di smaltimento dei rifiuti, e la presenza di baracche sovraffollate, sono problemi comuni in queste comunità. La situazione è aggravata dagli alti tassi di violenza domestica, in particolare sui bambini.

Con gli occhi di Save the Children

Alcuni anni fa, con l’aiuto di Save the children Cambodia ho potuto visitare queste comunità. La Ong sostiene il governo cambogiano nel promuovere l’accesso alle cure sanitarie per le persone vulnerabili e offre supporto a progetti di istruzione scolastica in decine di villaggi.

Grazie a questo supporto, la diffusione delle malattie è diminuita, tuttavia resta ancora molto da fare per garantire la salute di tutti i bambini e delle loro madri.

Ho visitato alcuni tra i più grandi slum di Phnom Penh: Andong, Phum 15, Sangkat Tek L’Eok 1, Khan Toul Kork, Borey Keyla, Beng Kork. In questi slum si vive in baracche fatte di lamiera ondulata e assi. I bambini vi giocano davanti, circondati da cumuli di spazzatura. La gran parte di queste cosiddette case non hanno servizi igienici, e spesso sono costruite su palafitte sopra pozze di liquami coperte di spazzatura galleggiante. Barattoli di ogni genere sono usati per raccogliere l’acqua piovana per bere o cucinare. Quando non piove ogni acqua diventa buona, però bere e lavarsi con acqua inquinata causa spesso malattie intestinali e infezioni della pelle.

Tra le baracche scorrono canali, nei quali spesso i bambini giocano, il che provoca loro decine di malattie. Quest’acqua, stagnante nella stagione secca, è anchel’habitat ideale per le zanzare che portano la febbre Dengue, ormai endemica.

La situazione sanitaria della comunità diventa ancora più grave durante la stagione delle piogge, quando le inondazioni sono frequenti.

Cura della salute

Uno dei principali problemi legati all’assistenza sanitaria di bambini e di adolescenti in queste comunità è la mancanza di certificati di nascita. È una realtà molto comune in queste baraccopoli cresciute per l’afflusso senza controllo di gente dalle campagne, costrette a fuggire da situazioni di insicurezza a causa delle mine disseminate nei campi e della violenza della guerra. Per questo motivo, la maggior parte delle comunità non sono censite e gli abitanti non hanno una residenza ufficiale. Formalmente non esistono e non possono godere dei loro diritti primari. Inoltre le autorità non fanno nulla per risanare l’ambiente e negano pure l’autorizzazione a trasformare le baracche in strutture permanenti.

La mancanza della residenza porta anche alla difficoltà di espletare pratiche basilari come l’iscrizione dei figli a scuola o la regolarizzazione del lavoro per gli adulti. I bambini vivono quindi in uno stato di abbandono e violenza e spesso sono costretti a lavorare per contribuire alla sopravvivenza della propria famiglia.