Reportage scritto e pubblicato per la Rivista Missioni Consolata // Torino – Giugno 2021
Il deserto del Gobi è una vasta regione di terra desertica e semi desertica che si estende dalla Cina settentrionale alla Mongolia meridionale coprendo quasi un milione e 300mila km2 (almeno 4 volte l’Italia). Il suo nome evoca immagini di un paesaggio remoto, e di nomadi che cavalcano liberi attraverso la steppa.
Poche esperienze riuniscono l’insolito e l’epico come quella di attraversare il deserto della Mongolia. Si viaggia su strade sterrate e non segnate sulle mappe, sballottati sul sedile posteriore di un fuoristrada, e si spera che lungo il tragitto non capitino imprevisti che, nel mezzo del nulla, diventerebbero problemi di difficile soluzione.
Spesso immaginato come luogo di un caldo insopportabile e di dune di sabbia in movimento, il deserto del Gobi è tutto questo e molto di più.
Lungo il percorso verso le Khongoryn Els (le «dune cantanti»), attraversiamo vaste pianure, passando tra alte vette e catene montuose, dune di sabbia e valli rocciose. Un ambiente benedetto da un cielo eternamente limpido, sabbie dorate, miraggi blu e una distesa infinita di terre steppiche. Qui, le strette pareti della Yolyn Am («la valle degli avvoltoi», una profonda gola sempre ghiacciata nelle montagne del Gurvan Saikhan, ndr) sembrano fuori posto, così come i lastroni di ghiaccio che storicamente ne ricoprivano il fondovalle anche durante l’estate. Oggi purtroppo, a causa dei cambiamenti climatici, né il ghiaccio né gli omonimi avvoltoi Yol resistono al calore dei giorni più torridi di luglio.
Quando arriviamo a Bayanzag ci sorprende la bellezza selvaggia delle sue «Scogliere fiammeggianti» (The flaming cliff). In queste terre Roy Chapman Andrews scoprì nel 1923 i primi fossili scientificamente riconosciuti di uova di dinosauro. Al tramonto, le Scogliere fiammeggianti assumono un colore rosso profondo e un aspetto misterioso con le loro ombre viola tra i canyon, le grotte, le rovine di templi e villaggi un tempo abitati dai monaci.
Verso le Khongoryn Els
Siamo sorpresi dalla presenza di molta vita rurale nel deserto. Ci imbattiamo in diverse famiglie di pastori nomadi che vivono nelle loro gher. Al nostro arrivo, le abitazioni si animano improvvisamente di bambini che escono di corsa dal loro rifugio. L’eccitazione poi si trasforma rapidamente in timidezza quando vedono che siamo stranieri.
Il Gobi è anche l’esperienza di dormire in una gher. Le notti trascorse nelle tipiche strutture mongole portano con sé anche indimenticabili momenti di contatto e di dialogo con persone del luogo sorseggiando tè e airag, il latte di cavallo leggermente fermentato.
Il tramonto finale
L’ultima tappa è stata organizzata nei minimi dettagli per fare in modo di arrivare alla destinazione finale prima del calare del sole. Il tramonto sulle dune di Khongoryn Els è uno dei desideri più forti nel nostro immaginario.
Khongoryn Els è il deserto che abbiamo sempre sognato: arrampicarsi sulle sommità delle dune mentre i passi scivolano all’indietro lungo il pendio sabbioso, guardare il deserto più grande dell’Asia da «montagne» di sabbia alte fino a 300 metri. Osservare dune susseguirsi a perdita d’occhio e contemplare il calare del sole.
È un momento di totale e silenziosa simbiosi con l’ambiente, la sabbia e l’orizzonte che si fondono nel rosso intenso che lentamente lascia il posto al blu profondo dell’immenso cielo stellato.
I paesaggi sconfinati, la sabbia dorata, il rosso, il verde, il blu cobalto, ma soprattutto i sorrisi dei bambini, lo sguardo fiero dei nomadi, sono solo alcune delle molte istantanee che la Mongolia può regalare.
Il Festival del Naadam
Per ricordare le gesta e la potenza di Chinggis Khan, il guerriero che fondò l’impero più vasto nella storia dell’umanità, ogni estate i mongoli si riuniscono durante la festa del Naadam per gareggiare nei «tre sport virili»: equitazione, lotta e tiro con l’arco. Il più grande evento del Naadam si svolge a luglio presso lo Stadio nazionale di Ulaan Baatar, ma ogni regione ha poi il suo festival, e le gare delle zone rurali sono i veri baluardi della tradizione nomade e guerriera di questo popolo. Il festival è il punto di incontro più autentico con la cultura mongola: bambini a cavallo in gara lungo percorsi di 20 km, lottatori di ogni stazza, arcieri che perforano bersagli con precisione millimetrica.
Un’esperienza indimenticabile.