Reportage scritto e pubblicato per la Rivista Missioni Consolata // Torino – Agosto-Settembre 2015
Da tempo è considerato un paese «emergente». Forse il migliore. Eppure in India la povertà rimane endemica, soprattutto tra alcune fasce della popolazione e nelle zone rurali. Dove il cibo è poco e l’esistenza grama.
New Delhi. Rham mi attende con la sua auto all’aeroporto di New Delhi. Attraverseremo insieme diversi stati lungo un percorso di circa 4.000 Km fino a Mumbai. Rham è una persona affidabile e grande conoscitore delle aree rurali. Come molti indiani parla un inglese non perfetto, però – è questo ciò che importa – comprende molti dei dialetti delle zone che andremo a visitare. Per raggiungere le aree rurali, lontane dai grandi centri urbani, è fondamentale viaggiare con un autista del posto. Sono tante le insidie e i pericoli delle strade indiane: le mucche sacre lasciate libere di pascolare per ogni dove, i motociclisti che viaggiano con tutta la famiglia a bordo, le centinaia di camion fatiscenti che sfrecciano con le loro scritte impresse sul retro « horn, please » (suonare, per favore). La maggior parte degli incidenti sono dovuti ai tentativi di schivare un animale che improvvisamente si presenta davanti al proprio mezzo e costringe l’autista a cambiare corsia finendo in un dirupo o in un impatto frontale con lo sfortunato che avanza nel senso di marcia opposto.
Ottocentotrenta milioni
Il nostro viaggio è su strade fatiscenti, corridoi sterrati, buche ripiene di fango, escrementi e rifiuti di ogni genere. Nella stagione delle piogge monsoniche – da luglio a novembre – all’alba si vedono intere famiglie (con animali al seguito) uscire dalle loro case per riversarsi su strade avvolte dalla nebbia e ricoperte di acque reflue e maleodoranti. Il subcontinente indiano è raccontato come una potenza mondiale in crescita prorompente, eppure nel mondo rurale sopravvivono tirannia, oppressione, feudalesimo, lavoro forzato, furto di terre, sfruttamento, abitudini particolari e tipiche delle caste. Va ricordato che l’India rurale conta 830 milioni di abitanti che parlano oltre 700 lingue diverse. In essa si riscontrano alti livelli di analfabetismo, accesso inesistente o inadeguato all’assistenza sanitaria e ai servizi sociali.
Le donne e i bambini sono le categorie più svantaggiate, anche se la loro condizione varia sensibilmente a seconda dell’appartenenza etnica. Storie di violenza, malnutrizione, oppressione sono comunque una diffusa consuetudine. Fin dai tempi più antichi le donne sono dominate dai propri familiari (padre, fratelli) o mariti, non solo perché fisicamente più deboli, ma anche perché non possiedono il coraggio necessario per opporsi al dominio maschile. Probabilmente oggi c’è più libertà rispetto al passato, ma le donne rimangono ancora oggetto di discriminazione e violenza (come dimostra il numero degli stupri). Stessa situazione per i minori. Privati dei diritti di base a cominciare dall’istruzione, migliaia di bambini vivono sulla strada completamente abbandonati a se stessi ed esposti ad ogni genere di pericoli. Per necessità o per scelta, i genitori preferiscono mandare i propri figli a lavorare nei campi per guadagnare qualche rupia, piuttosto che a scuola. Questo è ancora più vero nel caso delle bambine. Ancora oggi è pratica comune che una bambina si sposi a 14 anni e che a 20 abbia già vari figli, senza alcun tipo di educazione scolastica, senza denaro e soprattutto senza alcuna fiducia e stima di sé. Ci sono però delle eccezioni.
La storia di Chanda
Al mattino presto è molto comune incontrare donne che trasportano sul capo cesti colmi di verdure e frutti di stagione appena raccolti nei campi: spinaci, fagioli, mango verde e persino alcuni tipi di fiori. Portano tutto al mercato e torneranno a casa solo quando avranno venduto tutto. Nei mercati (che in verità ci appaiono in condizioni igieniche pessime) è bello notare come gli indiani acquistino frutta e verdura soltanto dopo aver fatto una scelta quasi maniacale: odore, forma, colore, freschezza, vogliono verificare tutto prima di comprare! È in uno di questi villaggi che conosciamo Chanda, una donna e madre di famiglia decisa e a suo modo moderna. La incontriamo sulla porta di casa sua, mentre si prepara a uscire. Ci racconta che la sua giornata inizia al mattino presto con la preparazione dei suoi bambini per la scuola e la pulizia della casa. Terminate queste attività domestiche, Chanda si dirige verso i campi in un villaggio vicino dove presta i suoi servizi di bracciante agricola. Quando si è sposata il marito era disoccupato. Sono riusciti a sostenersi grazie al suo lavoro nei campi, ma spesso sono andati a letto a stomaco vuoto. Nel suo villaggio la vita è sempre stata una vita di privazioni. Non ci sono strade e acqua potabile e fino a qualche anno fa non era presente neppure una struttura sanitaria di primo soccorso. Bisognava camminare per molti chilometri prima di raggiungere un punto di assistenza sanitaria di base. La malaria e la dissenteria hanno causato centinaia di morti soltanto nel suo villaggio.
Tuttavia, secondo Chanda, le cose stanno lentamente cambiando grazie a una serie di programmi governativi e alla presenza di attivisti e volontari sociali e sanitari. Ostetriche, infermieri e medici di base hanno raggiunto il villaggio. Con l’uso di insetticidi, grazie ai quali bonificano gli ambienti, sono anche riusciti a proteggere le famiglie dalle zanzare portatrici di malaria. Oggi, ci spiega la donna, gli abitanti sono sempre più attenti alla propria salute e consapevoli del loro diritto ad avere un servizio sanitario. Chanda crede nell’importanza della formazione: per completare le scuole superiori ha affrontato molti ostacoli. È felice perché l’istruzione secondaria è diventata più accessibile per i suoi figli grazie alla presenza di una scuola vicina al suo villaggio. Allo stesso tempo, è preoccupata per il graduale deterioramento della qualità dell’istruzione e di questo incolpa sia i docenti sia gli studenti. Il suo lavoro in alcune aziende agricole che si sono installate vicino al suo villaggio le garantiscono un centinaio di giorni di lavoro all’anno e questo le ha permesso di sostituire la paglia con i mattoni e il fango con le piastrelle nella casa dove vive che un tempo apparteneva alla sua famiglia. Chanda guadagna circa 3mila rupie al mese (= € 42,9) e questo permette alla sua famiglia di nutrirsi di verdure e cereali (invece che di sole patate e riso come in passato) e di comprare ai suoi figli vestiti nuovi e libri per la scuola. Riguardo al futuro la donna ha idee chiare: sua figlia non si sposerà fino a quando non sarà completamente in grado di prendersi cura di se stessa. Nutre la speranza che entrambi i suoi figli completeranno la loro istruzione per accedere a posti di lavoro più dignitosi del suo. Sì, Chanda crede e lotta per un domani migliore.
La storia di Prateek
Lungo la strada incontriamo Prateek, un medico dotato di grande spirito di sacrificio e intelligenza. Facendo rotta verso alcuni villaggi del Sud tra Mumbai e Hyderabad, con Rham decidiamo di dargli un passaggio, evitandogli così un duro e faticoso viaggio in autobus. Il dottor Prateek sta conducendo una ricerca nel campo della nutrizione su un campione di villaggi in quell’area. L’obiettivo è capire quale possa essere l’evoluzione di alcune malattie croniche. A causa delle variazioni del regime alimentare e delle migrazioni verso i centri urbani alcune patologie come il diabete, l’obesità e le malattie cardiache stanno prendendo il posto della malnutrizione e di quelle infettive. Prateek conduce i suoi studi da molti anni e ha preso in esame molte migliaia di persone grazie a un programma nazionale di welfare iniziato negli anni ’70 che ha dato l’opportunità a donne incinte e mamme di ricevere alimentazione gratuita per i primi anni di vita dei bambini. Quando il tragitto con Prateek sta per concludersi, incontriamo Sandeep, un suo paziente, con la barba lunga e una camicia bianca. Lavora nel proprio capannone in cemento posto tra due campi di riso, macchie di verde e marrone immerse nel paesaggio polveroso del suo villaggio, nella parte centro Sud dell’India. Trenta anni prima tutti gli edifici del villaggio erano kachcha – capanne di fango – e tutti lavoravano la terra. Ma non c’era abbastanza da mangiare nonostante il governo sovvenzionasse il riso con 2 rupie al chilo. In tanti sono emigrati. Oggi Sandeep coltiva palme da olio e un cereale chiamato jowar, una antichissima specie di sorgo, ricca di calcio, ferro, proteine e fibre. Ci racconta che è un lavoro duro, ma dice di essere soddisfatto della sua sorte. La maggior parte dei suoi vicini hanno venduto la loro terra e sono meno sani di prima perché hanno cambiato la loro dieta passando dal jowar al riso. L’uomo ha invece deciso di rimanere fedele alle tradizioni dei suoi genitori e alle loro abitudini alimentari e prevede che i suoi figli facciano lo stesso. In India milioni di persone stanno lasciando le aree rurali per migrare verso i centri urbani. Sandeep ha fatto una scelta diversa: rimanere in campagna lottando nel contempo per migliorare le condizioni della vita contadina.