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Cuba e l’attesa per il dopo «bloqueo»

Reportage scritto e pubblicato per la Rivista Missioni Consolata // Torino – Maggio 2015

Il 17 dicembre 2014 è stato un giorno storico per Cuba: è stata infatti annunciata la fine di 55 anni di guerra fredda tra l’Avana e Washington. Ero sull’isola caraibica proprio in quei giorni.

Varadero. Sono venuto a Cuba per un reportage fotografico su alcune aree intee dell’isola. Approfittando della stagione favorevole, ho deciso di portare con me la mia famiglia che farà base a Varadero, zona adatta ad accogliere – con i suoi circa 60 resort– turisti da ogni parte del mondo, ma in realtà l’unico posto di Cuba che nulla ha in comune con l’obiettivo del mio reportage: un racconto fotografico attraverso percorsi non convenzionali e lontani dalle rotte turistiche, come l’entroterra di Cardenas e Matanzas, territori immobili e intrappolati in ritmi e stili di vita lontani decenni dai nostri.

Giunto all’hotel, prendo coscienza del fatto che saranno due settimane di quasi completo «isolamento digitale». A causa dell’embargo (el bloqueo) Cuba ha enormi difficoltà di trasmissione per via delle limitazioni dell’uso dei server e per l’utilizzo dei cavi sottomarini, molto meno efficienti (ma più economici) dei satelliti.
Scegliendo Cuba mi ero preparato al fatto che avrei dovuto fare a meno della connessione a internet sul mio inseparabile smartphone, ma non al fatto che proprio in questi giorni anche in hotel la connessione sarebbe stata fuori uso.

Ormai rassegnato all’idea dell’«isolamento digitale», mi ritrovo inaspettatamente sollevato: posso finalmente disintossicarmi (pur in maniera forzata) dalla maniacale abitudine all’uso della rete a cui molti di noi sono quotidianamente sottoposti. Mi sento già più libero. Leggero. Mi preoccupo di noleggiare un’automobile in modo da potermi muovere in maniera autonoma nelle zone dell’isola che mi interessano e che si trovano a Sud delle paradisiache spiagge di Varadero. Mi viene proposta una fiammante auto cinese dal nome impronunciabile che, nei giorni successivi, darà prova del suo stato di usura, scarsa «qualità» e manutenzione. Nell’arco di poche ore, inizio a comprendere meglio le limitazioni e i vincoli imposti dal bloqueo.

Senza supporto satellitare, Google Map è privo di vita. L’unico modo per muovermi sull’isola sarà quello di tornare al vecchio, scomodo e silenzioso stradario che il noleggiatore mi ha messo a disposizione.

In hotel indago sul percorso e sui territori che mi interesserebbe fotografare. Incontro Jorge, un operatore turistico che, dopo avermi proposto tutti i suoi tour organizzati, desiste e cede il passo alla mia voglia di autonomia. L’uomo si lascia andare al racconto della precaria situazione a cui il popolo cubano è costretto a causa dell’embargo, pur sottolineando il fatto che persone come lui, operatori del settore più vitale del paese, vivono in realtà una situazione «privilegiata».

Jorge è molto scettico sulla mia intenzione di visitare le zone interne alla ricerca di testimonianze fotografiche e di volti lontani dal sole delle spiagge. È abituato alle migliaia di canadesi, italiani e tedeschi che vengono a Cuba solamente con l’obiettivo di bere rum, fumare sigari, godere del sole dell’isola, magari in dolce compagnia. Ad ogni modo mi fornisce indicazioni e suggerimenti strappandomi la promessa di mostrargli al mio ritorno le immagini scattate nel mio peregrinare.

La Habana, tra decadenza e splendori

È il 17 dicembre quando Obama e Raul Castro annunciano la fine della guerra fredda tra i due paesi. Dopo oltre 50 anni dalla rivoluzione castrista, Cuba si appresta probabilmente ad affrontare il più grande cambiamento di sempre. Assaporo la fortuna di essere qui proprio nei giorni di questo storico passaggio.

Anche se lontano dalle mie iniziali intenzioni, decido di far partire il mio itinerario da la Habana (l’Avana, in italiano), una della città più affascinanti del Sud America, obbligatoria per iniziare ad assaporare il clima cubano («a due marce») ed entrare in sintonia con uno dei popoli più cordiali e accoglienti che io abbia mai conosciuto. Girovagando per le strade di Habana Vieja alla ricerca di angoli particolari della città vecchia e dell’autentica cucina cubana, lontano dai locali turistici, percorro un’infinita serie di viuzze, attraversate da rivoli d’acqua di varia natura, che si infilano tra le macerie di edifici fatiscenti o pericolanti.

Alla fine, dopo l’incontro con una giovane coppia di cubani, senza volerlo mi ritrovo in un famoso locale della capitale dove pare che, in serata, ci sarà un ricevimento con la presenza del presidente Raul Castro.

Non so se questo sia vero, anche perché i due ragazzi, dopo l’iniziale approccio disinteressato, una volta nel locale mostrano i loro reali obiettivi: essere invitati a mangiare, a bere qualche mojito e magari ricevere anche dei Cuc.

Il ragazzo mi racconta di essere un musicista che ha anche preso parte al tour documentario di Zucchero qualche tempo addietro. Suona la tastiera e il suo salario mensile è di soli 30 Cuc (circa 25 dollari). Vive con la moglie, hanno un bimbo di 3 anni e uno in arrivo. Lo intuisco anche dal pancione della ragazza che lo accompagna.

La difficoltà di informarsi

Voglio approfittare del fatto di essere qui per capire meglio Cuba e per avere informazioni in presa diretta, ma non è facile. Avendo la sensazione che sull’isola l’informazione sia ancora in mano ad un ristretto numero di persone e non avendo la possibilità di accedere a internet, l’unico modo per cogliere l’essenza di ciò che sta accadendo sia di parlare con la gente comune. Spingo quindi la conversazione su quello che i miei due giovani accompagnatori pensano del governo, della sua politica, dell’economia.

È difficile però avere dettagli. Il tono dei miei interlocutori si anima e si placa con mezze risposte dettate al ritmo della musica diffusa nel locale dal gruppo di musicisti che si sta preparando per la serata.

Mentre diversi bicchieri di mojito passano sul nostro tavolo, parliamo dello storico annuncio fatto il giorno prima dal presidente Castro e dal leader americano. L’atmosfera si scalda al racconto di questo evento memorabile e traspare dai loro volti la grande speranza che Cuba finalmente possa entrare in una nuova era. Forse anche per l’effetto dei mojitos, sorridono e anche i loro occhi brillano pensando ai cambiamenti che presto potrebbero migliorare la loro esistenza. Come, ad esempio, la liberazione dalle restrizioni della libreta, la tessera statale che offre un aiuto alle famiglie dando loro la possibilità di acquistare una serie di beni primari a prezzi politici. Me la mostrano tirandola fuori con un po’ di esitazione. Mi dicono di molti cubani che, pur disprezzandola, la utilizzano per comperare quello che offre. Mi spiegano che la libreta non fa vivere, ma che comunque è un utile supporto. Con essa anche il loro bimbo ha diritto alla sua quota di riso, pane, olio, ma – aggiungono scherzando – non ai sigari che invece a loro farebbero molto comodo: li potrebbero infatti rivendere per comprare del latte.

Mi raccontano che, da qualche anno, Cuba sta attuando riforme radicali soprattutto a livello agrario e stringendo accordi anche con paesi che un tempo erano considerati nemici. In ogni caso, sia in città sia in tutta l’area costiera, è soprattutto il turismo il comparto economico su cui la maggioranza dei cubani punta.

Qualcosa sono riuscito a sapere. Tuttavia, l’obiettivo della mia coppia non è tanto quello di parlare dei problemi e degli scenari futuri di Cuba quanto di riuscire a portare a casa qualcosa in più del pranzo.

Mi parlano così di cooperative e dell’opportunità di comprare rum e sigari a prezzi inferiori a quelli ufficiali. Poi, all’improvviso, forse a causa del mio scarso interesse, decidono che è ora di andare e, dopo avermi lasciato i loro indirizzi e in regalo alcuni pesos cubani ufficiali, mi salutano frettolosamente.

Tutti a bordo

L’incontro mi porta alla mente una serie di letture che avevo fatto prima di partire e che puntualmente mi avevano svelato quanto la tecnica e la pratica di approcciare turisti, soprattutto a la Habana, sia sofisticata ed elegante: gentili e affabili cubani pronti a dare il proprio aiuto per districarsi nei meandri della capitale. Le avevo considerate leggende metropolitane, tipiche della rete. Invece era tutto vero: la prova tangibile di come il popolo cubano, stanco e impoverito dalla situazione economica, riesca a escogitare strategie, anche elaborate, per sbarcare il lunario facendo leva su quella che, probabilmente, è l’unica vera opportunità esistente nella capitale, il turismo.

La Habana Vieja con i suoi edifici decadenti e fatiscenti è Patrimonio dell’umanità. Probabilmente è una delle città coloniali più belle che abbia visto nel Sud America, ma percorrendone le strade, accompagnato dagli effluvi delle fogne, mi rendo conto del fatto che la maggior parte degli edifici non è mai stata restaurata e che alcuni crollano inesorabilmente giorno dopo giorno, accumulando montagne di macerie ai bordi delle strade.

Per visitare la Habana ci vuole non soltanto uno stomaco forte, ma anche buoni polmoni. Le affascinanti e colorate automobili degli anni Cinquanta sono infatti  quanto di più inquinante ci possa essere perché, come gli edifici, sono rimaste quelle di un tempo: luccicanti e appariscenti se viste da lontano, malandate, arrugginite e decadenti se viste da vicino e all’interno.

Durante il percorso di ritorno verso la mia auto, passando per i luoghi simbolo della città – Plaza de Armas, Palacio de los Capitanes Generales, la cattedrale di San Cristobal -, mentre metabolizzo le frasi e il comportamento dei due ragazzi che ho conosciuto, si rafforza nella mia mente l’idea che, con la scomparsa del bloqueo, Cuba potrebbe non essere più la stessa.

Tornare verso Varadero non è facile. A Cuba sono praticamente inesistenti i cartelli stradali. Sono stati tutti, o quasi, rimossi dalla gente del posto. In modo intenzionale: chiunque ti darà le indicazioni di cui hai bisogno, ma spesso in cambio di un passaggio. Quando mi fermo a chiedere informazioni, diventa così quasi inevitabile ritrovarmi, per qualche chilometro, con una persona a bordo. E alla fine non è detto che io prenda sempre la direzione corretta o più breve verso la mia destinazione avendo a fianco un accompagnatore interessato.